Cosa accade al nostro debito pubblico se usciamo dall’euro?

Cosa accade al nostro debito pubblico se usciamo dall’euro?

Visto che al momento nessun Paese è uscito dall’euro, ed il Presidente della Bce dice pure che è una eventualità non prevista dai trattati, potremmo dire che nessuno sa oggi con precisione con quali modalità uno Stato membro dell’eurozona possa tornare a battere una sua moneta nazionale.

Draghi pare quindi non aver torto quando dice che l’uscita di uno Stato dalla moneta unica ci porterebbe verso “acque inesplorate”.  Se però da un lato dobbiamo riconoscere che tutto ciò che non ci è noto ci spaventa, dall’altro è anche vero che l’ignoto ci affascina, quindi perché non provare?

Ma poi, scusatemi, fermi tutti! Riflettiamo un attimo: perché il ritorno ad una moneta nazionale lo consideriamo un percorso del tutto ignoto? La verità sta proprio all’opposto!

L’ignoto era l’adozione dell’euro, quello era il momento in cui si entrava in una fase assolutamente sconosciuta, visto che una moneta unica non c’era mai stata prima, oggi, invece, stiamo parlando solo di tornare alla situazione precedente, che è perfettamente nota!

Ed infatti, visto che al momento dell’adozione della moneta unica si andava verso “l’ignoto”, vi ricordate quante energie hanno profuso per “tranquillizzarci”?

Quando la gente chiedeva preoccupata: che ne sarà dei miei risparmi? Gli si rispondeva: non cambierà nulla, il loro valore verrà convertito nella nuova valuta. E quando, sempre la gente, chiedeva: che ne sarà del mio mutuo? Gli si rispondeva sempre che non sarebbe accaduto nulla le rate sarebbero rimaste invariate, soltanto espresse nella nuova moneta.

Il mantra era sempre il medesimo: nel passare dalla vecchia moneta a quella nuova … NON CAMBIA NULLA.

Ed ora, allora, perché ora se volessimo tornare alla valuta precedente, oppure ad un’altra nuova … dovremmo entrare in “acque inesplorate”?

Sarebbe la cosa più semplice del mondo. Tutto, intendo dire, tutti gli attivi e passivi attualmente denominati in euro verrebbero riconvertiti nella nuova moneta. Semplice.

Anche il debito pubblico?

Certo! Anche il debito pubblico!!!

Per la parte del debito pubblico detenuta dai nostri connazionali non si porrebbe alcun problema in quanto per un italiano tutti gli attivi ed i passivi verrebbero ridenominati in quella che, per comodità, chiamiamo la “nuova lira”, quindi un italiano non ha né vantaggi né svantaggi per quanto riguarda il passaggio alla nuova moneta.

Il cittadino straniero (o la società o la Banca o l’investitore istituzionale estero ovviamente il discorso non cambia), invece, potrebbe obiettare che lui al momento della sottoscrizione del nostro titolo dello Stato ci ha dato euro e quindi alla scadenza rivuole euro.

Potrebbe sembrare una argomentazione logica, ma non lo è! O meglio è opinabile.

E’ opinabile perché se lui (ad esempio cittadino tedesco) cinque anni fa aveva sottoscritto un Btp che pagava un interesse del 5% anziché comprarsi un “suo” Bund che invece rendeva solo l’1%, non lo aveva fatto per “amore dell’Italia”, bensì per fare un’operazione LEGITTIMAMENTE speculativa, che non è una bestemmia, semplicemente è una scelta, ripeto, assolutamente legittima, ma non priva di rischio.

Quindi.

Come per tutte le speculazioni, si è assunto un rischio, e stavolta non gli è andata bene. Ma non è neppure detto, perché se avesse ad esempio acquistato il Btp 8 anni fa e davvero quel titolo avesse reso il 4% in più all’anno rispetto all’omologo tedesco, per l’intero periodo avrebbe guadagnato il 32% in più, e se la svalutazione della “nuova lira” rispetto all’euro fosse del 20%, gli sarebbe rimasto in tasca sempre un 12%!!! Ossia un 4% in più di quello che avrebbe incassato se a suo tempo avesse optato per sottoscrivere un meno rischioso Bund (8% in otto anni).

Se poi al “tedesco”, detentore del nostro debito pubblico, non andasse comunque bene ricevere le nuove lire, può sempre portare lo Stato italiano davanti ad un Tribunale internazionale per dirimere la questione, vedrete comunque che i contenziosi sarebbero minimi e certamente non onerosi per le nostre casse pubbliche.

Per concludere, quindi, con il ritorno ad una moneta nazionale non scatterebbe assolutamente alcun default, né automatico, né indotto, naturalmente tranne il caso in cui il Paese non si trovi in dissesto finanziario, come ad esempio attualmente la Grecia, ma in questo caso il default non sarebbe causato dal ritorno alla moneta nazionale, bensì dall’impossibilità per lo Stato di onorare i propri debiti alla scadenza, come è già accaduto alla Grecia nel 2012, senza che, per questo fatto, sia stata costretta ad uscire dall’euro.

Sapete invece in quali occasioni si scatenerebbero dispute di non facile soluzione? Nel momento in cui lo Stato che intende tornare alla valuta nazionale richiedesse la restituzione dei suoi fondi versati ad Organismi sovranazionali. In soldoni, per fare un semplice esempio, all’atto in cui l’Italia avanzi, nei confronti della Bce, la pretesa della restituzione della quota a suo tempo versata per i vari fondi, tipo l’ESM (il cosiddetto fondo salvastati) e similari. Come minimo la Bce compenserebbe quei fondi con la parte di nostro debito pubblico che detiene in portafoglio, e fin qui sarebbe anche logico e naturale, ma certamente se quei fondi ai quali ha contribuito l’Italia fossero, come sono di fatto, già stati destinati ad altri Stati, per esempio sono serviti al finanziamento del debito pubblico greco, la Bce risponderebbe quasi certamente picche.

E Draghi ai suoi connazionali direbbe: Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto … chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdammoce ‘o ppassato.

Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro