Gentiloni e l’Agi: il falso del falso

Gentiloni e l’Agi: il falso del falso

I giornali dovrebbero “informare” quindi riportare notizie “vere”, sappiamo però che praticamente sono tutti schierati politicamente, hanno, quel che suol dirsi, una loro “linea editoriale”.

Tuttavia le Agenzie di stampa … NO!!!

O perlomeno, le Agenzie di Stampa non dovrebbero aver alcuna “linea editoriale”, dovrebbero solo riportare notizie in maniera asettica, senza “interpretazioni” né “commenti”.

Purtroppo però …

AGI: Agenzia Giornalistica Italiana.

Dopo l’Ansa è la più nota Agenzia di Stampa italiana, è una azienda controllata dall’ENI, il nostro colosso petrolifero.

Recentemente l’AGI ha istituito una rubrica che, almeno nelle intenzioni, avrebbe avuto nobili propositi, l’ha chiamata: Fact-Checking.

Vabbè sorvoliamo sulla ormai cronica moda di utilizzare termini anglosassoni nonostante la nostra lingua sia enormemente più ricca, comunque, per coloro che non abbiano dimestichezza con l’inglese, diamo la traduzione letterale: controllo dei fatti.

In pratica vengono analizzate  delle affermazioni, solitamente pronunciate da uomini politici, e ne si controlla la loro “veridicità oggettiva”. Se vengono riportati dati, e non opinioni, dovrebbe essere facile riscontrare la loro eventuale infondatezza.

L’aritmetica, come si suol dire, non lascia scampo alle opinioni.

Ed allora ecco che la mia curiosità viene attratta da quest’articolo che vi posto (basta cliccare sul titolo): Davvero il governo Lega-M5S ci è già costato 5,5 miliardi di euro, come dice Gentiloni?

Orbene, possiamo avere qualche dubbio sul significato da attribuire all’espressione “ci è già costato 5,5 miliardi di euro”, l’italiano però lo conosciamo tutti, e nessuno di noi può mettere in dubbio che l’uso dell’avverbio “già”, riferito ad un predicato, indica un fatto ormai compiuto.

In altre parole dal titolo dell’articolo pubblicato dall’AGI se ne deve desumere che i 5,5 miliardi di euro sono “già” usciti dalle casse dello Stato.

Gentiloni, però, aveva detto una cosa diversa, queste, per la precisione, le parole dell’ex Premier: “Se il governo fa certe affermazioni sul nostro debito e sulle regole europee e tutto questo raddoppia lo spread, passato da quota 120-130 del 2017 a 230-240, questo significa l’1 per cento in più rispetto allo stock dei titoli di Stato che dobbiamo vendere quest’anno: un ‘costo’ di circa 5 miliardi e mezzo in più”, quindi , non dice “ci è già costato”.

Tuttavia l’affermazione di Gentiloni è un concentrato impressionante di idiozie e falsità sulle quali l’Agi a volte sorvola ed altre volte minimizza, arrivando a concludere che è una affermazione “imprecisa”.

Sarebbe poi doveroso premettere che l’affermazione di Gentiloni inizia con un “Se”, quindi sta formulando una ipotesi, che, di conseguenza, è tutta da dimostrare, ma tralasciamo pure questo aspetto e cominciamo l’analisi.

Innanzitutto: è falso dire, come afferma Gentiloni, che lo spread nel 2017 sia risultato mediamente di 120/130 punti!

Ed anche l’Agi, infatti, non può esimersi dal rilevare che in quell’anno mai lo spread è arrivato a valere meno di 135 punti, per gran parte del primo semestre ha oscillato fra i 180 ed i 200 punti, e fra i 140 e i 180 punti nella seconda parte dell’anno, una stima realistica dell’intero 2017 lo colloca quindi fra i 170 ed i 175 punti.

Oggi lo spread è intorno ai 230/240 punti quindi 60/70 punti sopra la media del 2017.

Tuttavia in una analisi minimamente seria ed obiettiva devono essere sottolineati alcuni aspetti fondamentali per spiegare quel che è accaduto.

Lo spread, ormai da anni, è “deciso” da Draghi, nel senso che sono le politiche monetarie attuate dalla Bce a condizionare totalmente i tassi di interesse sui titoli di Stato dei Paesi dell’eurozona, e quindi a determinare lo spread.

Da anni, infatti non c’è alcun risparmiatore privato tanto idiota da comperare titoli dello Stato con rendimenti negativi, ossia investimenti che danno al sottoscrittore LA CERTEZZA ASSOLUTA DI PERDERE DEI SOLDI!!!

Se Draghi interrompe, o soltanto riduce l’acquisto di titoli dello Stato, immediatamente i rendimenti degli stessi, ovviamente, saliranno.

L’Agi poi riporta che “secondo diversi osservatori” la fiammata dello spread, che per un giorno era arrivato a superare i 300 punti, fosse dovuta ai “timori per le posizioni del nascente governo Lega-M5S sull’euro – in particolare legati al “caso Savona” – e sul debito pubblico”.

Affermazione totalmente falsa!!!

Perché, come tutti possono verificare, lo spread schizza a 300 punti (29 maggio) il giorno successivo a quello nel quale Mattarella dà l’incarico di formare un nuovo Governo a … Carlo Cottarelli (28 maggio), una scelta, lasciatemelo dire, ridicola, ancor prima che anticostituzionale.

Invece il giorno successivo al secondo  e decisivo incarico di formare il Governo al Prof. Conte (1 giugno), lo spread era già sceso a 238 punti.

Ma le falsità di Gentiloni (e dell’Agi) sono solo all’inizio. Proseguiamo.

Per quanto abbiamo dimostrato con i numeri (non con le opinioni!), è falso dire, come afferma Gentiloni, che dovremo pagare “l’1 per cento in più rispetto allo stock dei titoli di Stato che dobbiamo vendere quest’anno”.

Anzi di più, quell’affermazione non solo è falsa, ma è ridicola e può essere pronunciata soltanto da una persona totalmente ignorante in materia (oppure in malafede).

Innanzitutto perché nessuno può sapere a quali tassi saranno collocati i titoli di Stato che emetteremo da oggi fino alla fine dell’anno.

Ma al di là di questa banale (ma non per Gentiloni) annotazione, il fatto è che calcolare il costo del debito pubblico semplicemente in base alla variazione dello spread è da idioti (o da analfabeti in materia economica).

Qualcuno infatti dovrebbe spiegare a Gentiloni (e anche all’Agi) che il costo, in termini di interessi pagati sul nostro debito pubblico, può aumentare anche se lo spread diminuisce così come può diminuire anche se il nostro spread sale.

Questo semplicemente perché lo spread non è altro che la differenza fra i rendimenti di due titoli di Stato decennali, nel caso in esame italiani e tedeschi, quindi se i tassi sui BTP ed i Bund decennali dovessero entrambi salire, ma quelli tedeschi in misura maggiore, il nostro spread diminuirebbe, ma il costo del nostro debito aumenterebbe.

Così come, mutatis mutandis, se i tassi sui titoli decennali di entrambi i Paesi dovessero ridursi, ma in Germania più che in Italia, il nostro spread aumenterebbe, ma il costo del nostro debito pubblico diminuirebbe.

Ma non solo!

Lo spread, come detto, viene calcolato su una sola tipologia di titolo di Stato: quello decennale e a tasso fisso! Il debito pubblico, invece, è formato da una infinità di titoli diversi: diversi per tipologia (a tasso fisso, a tasso variabile, legati all’inflazione ecc. ecc.) e diversissimi per scadenza (da un minimo di tre mesi fino addirittura a 50 anni!!!).

Quindi estendere automaticamente all’intero debito pubblico la variazione avvenuta soltanto da una particolare tipologia di titolo di Stato (i decennali a tasso fisso) è semplicemente da ignoranti … ma ignoranti forti!

Ed arriviamo ora alla più grossa fesseria pronunciata da Gentiloni.

Secondo l’ex Premier, infatti, nel corso del 2018 pagheremo “l’1 per cento in più rispetto allo stock dei titoli di Stato che dobbiamo vendere quest’anno: un ‘costo’ di circa 5 miliardi e mezzo in più”.

Una fesseria colossale!

Innanzitutto qualcuno avvisi Gentiloni che siamo già in luglio, quindi i primi sei mesi dell’anno sono già trascorsi e nel corso del primo semestre il costo del nostro debito pubblico, in percentuale, è diminuito, ovviamente per le politiche monetarie di Draghi.

Ma al di là di questa banale constatazione, dire che pagando “l’1% in più rispetto allo stock dei titoli di Stato che dobbiamo vendere quest’anno” ci costerà “circa 5 miliardi e mezzo in più” significa dire che in questa seconda metà dell’anno dovremmo avere in scadenza titoli di Stato per 550 miliardi di euro!!!

Una affermazione da avventore di bar piuttosto alticcio!

Diamo allora qualche numero. Voglio essere preciso fino al centesimo di euro, a costo di sembrare pignolo oltre ogni limite.

In TUTTO il 2018 avevamo in scadenza titoli dello Stato per complessivi:

309.660.307.824,34 euro

Dei quali nei primi sei mesi sono scaduti (e quindi già “rinnovati”):

181.319.152.775,56 euro

Di conseguenza da qui alla fine dell’anno scadranno titoli dello Stato per complessivi

128.341.155.048,78 euro!!!

(Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro – 28 Febbraio 2018 – ndr)

Ovviamente ci riferiamo a tutte le tipologie di titoli dello Stato (Bot, Btp, Cct, Ctz ed EMTN), e va da sé che soltanto una parte di essi quindi sono Btp. Per la precisione da oggi a fine anno vanno in scadenza quattro emissioni di BTP delle quali una soltanto a 10 anni (per un ammontare inferiore ai 24 miliardi), per il resto si tratta di due emissioni di Btp quinquennali ed una di Btp con scadenza triennale.

Ed allora, oltre a far notare a Gentiloni che nell’anno in corso non pagheremo un 1% in più sui titoli che vanno a scadere per i motivi già addotti dovremmo chiedere da dove esce quella cifra iperbolica di 550 miliardi che secondo lui è lo “stock dei titoli di Stato che dobbiamo vendere quest’anno” (l’1% di 550 miliardi è infatti 5,5 miliardi che secondo lui dovremmo pagare).

E’ una cifra che si è inventato di sana pianta? Se l’è sognata? O magari gliel’ha suggerita il responsabile economico del Pd Marattin?

Ma adesso, cari lettori arriva il bello, perché l’Agi, penserete, con il suo fact-checking avrà senz’altro smascherato tutte le fesserie dette da Gentiloni. Anche perché difenderlo, è obiettivamente impossibile!

E invece no!

Invece no, cari lettori, l’Agi non poteva dire che Gentiloni aveva dato dei numeri strampalati ed aveva fatto affermazioni da perfetto incompetente, tuttavia si è trovata davanti un problema quasi insolubile: come giustificare simili idiozie?

Ebbene l’Agi ce l’ha fatta! E’ riuscita anche in questo! Straordinaria!

Dopo aver dovuto riconoscere che l’innalzamento di un punto percentuale dei rendimenti lordi di TUTTI i titoli dello Stato in scadenza nei prossimi sei mesi sia “difficile che questo accada”, l’Agi vuol comunque calcolare se in tale (strampalata) ipotesi la cifra data da Gentiloni (5,5 miliardi di euro) possa essere considerata congrua.              

Ed ecco il capolavoro.

L’Agi cita l’Ufficio Parlamentare del Bilancio (figuriamoci!) che nello scorso ottobre ha pubblicato uno studio “utilizzando un complesso modello di analisi” (me lo immagino!) secondo il quale un eventuale aumento di 100 punti di spread “a partire dal gennaio 2018” produrrebbe un aumento del costo degli interessi di 1,8 miliardi nel 2018, 4,5 miliardi nel 2019 e 6,6 miliardi nel 2020.

Subito dopo, però, l’Agi cita un altro studio, stavolta del Sole 24 Ore, che ipotizza l’effetto dell’aumento dello spread di 100 punti sullo stock di debito del 2018.

In pratica quindi si tratta di uno studio del tutto analogo, si potrebbe dire uguale, a quello effettuato dall’Ufficio Parlamentare del Bilancio.

Ed ecco i risultati ai quali giunge la studio del Sole 24 Ore: costi maggiori per 1,8 miliardi nel 2018, 2,7 miliardi nel 2019 e 2 miliardi nel 2020.

Perché questa omogeneità nei due studi per quanto riguarda il 2018 e questa abissale differenza nei due anni successivi?

L’Agi non lo spiega, ma è del tutto logico pensare che nel primo caso siano stati dati i risultati “capitalizzati” mentre nel secondo quelli “anno per anno”. In pratica quindi la stima è identica per il 2018 (1,8 miliardi), il Sole 24 Ore calcola 2,7 miliardi per il solo 2019, ma se viene sommato all’incremento del 2018 (1,8 miliardi) arriviamo in totale a 4,5 miliardi ossia lo stesso importo che viene indicato dallo studio dell’Ufficio Parlamentare del Bilancio, ed infine per il 2020 la differenza può essere dovuta solo a degli arrotondamenti (4,5 +2,0 fa 6,5 e non 6,6 miliardi).

Ok comunque il succo della vicenda è che entrambi gli studi, partendo dall’ipotesi di un aumento dello spread di 100 punti DALL’INIZIO DELL’ANNO, giungono alla conclusione che il maggior costo sostenuto dalle casse dello Stato sia stimato, nel 2018, in 1,8 miliardi. Ebbene il recente aumento dello spread, come abbiamo visto, al momento è limitato a 60/70 punti, ma inoltre siamo anche a metà dell’anno quindi possiamo logicamente ritenere che una stima, già arrotondata per eccesso, valuti per l’anno 2018 un maggior esborso di 900 milioni.

Come giustificare la cifra a capocchia, i 5,5 miliardi di euro, data da Gentiloni?

Ed ecco il “capolavoro” dell’Agi: l’Agenzia di stampa riprende i dati dello studio del Sole 24 Ore e li somma, arrivando alla cifra di 6,5 miliardi per arrivare a concludere che:

“Probabilmente Gentiloni ha visto questa cifra ma ha sbagliato (per difetto) nel citarla, parlando di 5,5 miliardi di euro.

AGI?!?

Quella cifra dello studio del Sole 24 Ore, che pure sarebbe perlomeno opinabile, si riferisce ad un ipotetico maggior costo che dovremmo sostenere NEI PROSSIMI TRE ANNI!!! Mentre Gentiloni si riferiva al solo 2018!!!

Altro che “ha sbagliato (per difetto)”!!!

Carissima AGI se lo studio del Sole 24 Ore avesse previsto il calcolo del maggior costo NEI PROSSIMI VENTI ANNI cosa avreste detto? Che la cifra comunicata da Gentiloni poteva considerarsi estremamente prudenziale?

Insomma siamo arrivato al colmo!

Siamo alla fake delle fake.

Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro