Italia: è un buon investimento o bisogna scappare?

Italia: è un buon investimento o bisogna scappare?

E’ proprio un bel paradosso, e dargli una giustificazione può sembrare non facile. Dunque, sapete tutti che da un po’ di tempo grandi case d’investimento, in particolare straniere, stanno ripetendo fino alla noia che bisogna puntare sulla nostra Piazza Affari.

Ed in effetti il nostro indice di Borsa, dall’inizio dell’anno, è quello che sta facendo registrare la migliore performance.

Sembrerebbe doverne dedurre che c’è una grande fiducia che le nostre aziende siano in grado di migliorare nettamente la loro situazione economica, insomma che possano aumentare utili e ricavi.

Come spiegare allora il dato che il Censis ha reso noto oggi e che riguarda il crollo verticale degli investimenti stranieri nel nostro Paese?

Per la precisione dal 2007 al 2013 sono diminuiti del 58%. Erano 29,5 miliardi di euro nel 2007, sono 12,4 miliardi nel 2013.

Perché gli stranieri fanno a gara per comprare i nostri titoli, ma le loro aziende fuggono a gambe levate dall’Italia.

Intanto sentiamo quali sono le motivazioni “dell’esodo” che emergono dallo studio del Censis. Vengono citati come cause principali la corruzione diffusa, la pervasività della criminalità organizzata, la lentezza della giustizia civile e l’inefficienza della Pubblica Amministrazione.

Tutte motivazioni assolutamente condivisibili e che ciascuno di noi può riscontrare nel nostro Paese. Non viene citata, però, la pressione fiscale, il cui aggravio non mi sembra possa essere sottovalutato, ed una mercato del lavoro “appesantito” da una sindacalizzazione di stampo ottocentesco.

Negli ultimi anni, infatti, chissà perché, la capacità del nostro Paese di attrarre investimenti esteri è crollata, ora siamo al 65esimo posto nel mondo, tutti i nostri principali “competitors” ci surclassano, il Regno Unito è al 10° posto e la Germania al 21°, solo per fare due esempi.

Ed allora cosa c’è dietro al rialzo di Piazza Affari? Non è che va tenuta su a tutti i costi la Borsa italiana per far proseguire lo “status quo”?

E poi siamo certi che l’indice di riferimento della Borsa italiana, il Ftse Mib, possa rappresentare fedelmente la struttura economico/produttiva del nostro Paese?

L’Italia è sempre stata sorretta dalla piccola e piccolissima impresa, il vero motore propulsivo della nostra economia è formato da milioni di microimprese nelle quali le persone lavorano a ritmi impressionanti, guardate al di fuori dei nostri confini, non ci sono esempi simili.

Gli stessi tedeschi, che hanno fama di gran lavoratori, nei confronti dei nostri commercianti, artigiani, liberi professionisti e piccoli imprenditori sono degli “scansafatiche” per non parlare poi dei francesi e soprattutto degli inglesi veri e propri “nullafacenti”.

E’ del tutto evidente che questa moltitudine di sgobboni stakanovisti della quale è costellata l’Italia, a Piazza Affari, non ha alcuna rappresentanza, ed è proprio su di loro che quando è scoppiata la crisi il nostri governanti hanno scaricato tutto il peso dell’inefficienza dello Stato.

In altre parole la crisi ha messo a nudo la più grande contraddizione del nostro Paese e cioè la contrapposizione tra il settore privato ultra efficiente e quello pubblico assolutamente inefficiente, la risposta alla crisi in particolare dall’avvento di Mario Monti a Palazzo Chigi in poi, è andata proprio nel senso contrario, si è tutelato totalmente il settore pubblico inefficiente a scapito di quello privato straordinariamente efficiente.

Non un solo lavoratore del pubblico impiego è stato licenziato o ha perso il proprio posto, nemmeno quando se ne è andato tranquillamente per i fatti suoi mentre il suo cartellino risultava “regolarmente” timbrato da un collega, e contemporaneamente sono state centinaia di migliaia le imprese che sono state costrette a chiudere perché gravate da una pressione fiscale insostenibile e inasprita proprio per mantenere l’inefficienza del pubblico.

La risposta alla crisi è quindi andata nella direzione opposta rispetto a quella nella quale si sarebbe dovuto andare, anziché “approfittare” della crisi per rendere almeno un po’ più efficiente il settore pubblico, abbiamo affossato il settore privato, in pratica si è andati ad uccidere la mucca che faceva il latte per dare da mangiare la carne a chi aveva già tutte le garanzie (e soprattutto garantiva milioni di voti).

Ed allora ecco spiegato il fatto per cui gli investitori stranieri magari comprano Fiat, che tanto produce le automobili a Detroit, o Eni, che estrae petrolio in mezzo mondo, ma contemporaneamente non investono più nel nostro Paese, anzi scappano da uno Stato il cui futuro sembra senza speranza.

Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro